giovedì 30 aprile 2009

Appunto sui dati istat sulle forze di lavoro (medie 2008) pubblicati in questi giorni

Persi in un anno 39 mila occupati, cresciuti i disoccupati di 24 mila unità, diminuita ancora la popolazione attiva, la Campania sprofonda all’ultimo posto tra le regioni italiane in tutti gli indicatori del mercato del lavoro e mostra di stare cedendo nella struttura portante dell’occupazione: perde lavoro dipendente nell’industria e nel terziario, perde occupati maschi in età adulta, peggiora nella disoccupazione dovuta alla perdita di un lavoro ma anche in quella giovanile e in quella di lunga durata.
La situazione determinata dall’andamento del mercato del lavoro non segnala solo che vi è stato uno shock nel 2008, ma che vi è un lento e costante deteriorarsi della struttura del mercato del lavoro, un processo di sgretolamento e di impoverimento iniziato dal 2005 e aggravato dalla crisi dei rifiuti e dalla crisi economica che sta attraversando l’intero Paese.
Il lavoro strutturato, regolare, stabile tende a ridursi sempre di più, il che lascia intendere che cresca la povertà e la marginalità sociale, che si riducano anche i margini di ripiegamento nel lavoro marginale, nascosto, precario. La condizione sociale della popolazione arretra sul piano dell’accesso alle tutele e dell’accesso agli aiuti per l’occupazione e per la disoccupazione, nonostante che, per effetto della crisi e delle eccedenze di manodopera industriale, il ricorso ai sussidi e alle integrazioni ai redditi di disoccupati e cassintegrati, insomma la spesa per i senza lavoro, aumenti considerevolmente. Più assistito ma anche più povero e debole, dunque il mercato del lavoro in Campania annaspa e costa finanziariamente e socialmente.
.In questo quadro non è più sopportabile che il lavoro e il reddito si producano e circolino nella illegalità, non è più sopportabile che le risorse pubbliche destinate alla politica del lavoro si sprechino nell’assistenza formativa, nel “formare all’assistenza”, non è più sopportabile che si tratti la popolazione esclusa dal lavoro e quella che sta perdendo lavoro come un serbatoio povero, subalterno e inutile, di clientelismo e paternalismo punitivo. Prima che la situazione degeneri in una rottura della convivenza civile appare necessario e urgente intervenire con forza nel contrastare l’illegalità che colpisce il lavoro, nel porre la popolazione al riparo dal rischio di povertà, e del ricatto della povertà, nell’attivare ogni risorsa per la creazione, la regolarizzazione e l’emersione di vero lavoro, di lavoro che risponda ai bisogni della popolazione e che produca per il mercato, per le infrastrutture civili e sociali, per il sistema di welfare.
Da Napoli e dal Mezzogiorno un programma elettorale non può che porsi, a mio avviso, come obiettivo di giustizia sociale e di crescita equilibrata, un patto sociale per la legalità, per il riconoscimento di una base di reddito che risponda in modo universalistico, trasparente e dignitoso all’insicurezza del primo lavoro, della perdita di lavoro e della povertà, per l’investimento nella produzione sociale ed economica del lavoro, un patto nel quale possa valere la pena anche sacrificarsi ancora, anche soffrire lo sfruttamento e il disagio economico legati al lavoro, un patto dai costi economici e sociali anche molto elevati che tuttavia appare come l’unica strada per prevenire e ridurre i costi futuri e molto più elevati di una comunità fatta a pezzi nelle sue basi economiche e sociali.

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