venerdì 27 giugno 2008

Un ricordo

Un ricordo di Fabrizia Ramondino
di Enrico Pugliese
("Il Manifesto", 25 giugno 2008)

Molti altri sui giornali ricorderanno Fabrizia Ramondino come scrittrice, una delle più grandi nell'Italia di oggi, e come autrice impegnata socialmente, così come tutti sottolineeranno il continuo riferimento a Napoli della sua poesia e della sua prosa. In questo mio ricordo, invece, parlerò di lei come una compagna e come l'amica al centro di un larghissimo gruppo di persone di ogni generazione, di ogni provenienza sociale e di ogni mestiere, soprattutto, ma non solo, napoletane: personaggi che a volte - scomposti, mescolati e ricomposti - rientravano nei suoi libri, soprattutto quelli proletari, non a caso i più amati. Penso a Mario, pescatore e barcaiolo di Laurito, al quale dedicò una delle più belle poesie in Per un sentiero chiaro o a Giovanni di Arcangelo. Di ciascuno Fabrizia voleva sapere la storia antica e recente, voleva sentire di genitori e figli, di amici, coniugi e amanti e, quando eravamo giovani, soprattutto di fidanzati e fidanzate. Ma era nella sua natura che ogni rapporto di puro affetto avesse sempre un versante di scambio intellettuale, soprattutto con quelli che non erano intellettuali di mestiere. Non si può negare che ci fosse, in Fabrizia Ramondino, una vena di populismo, corrispondente peraltro, alla sua provenienza aristocratica; ma si trovava anche sempre, in lei, una forte solidarietà umana, condita da un pizzico di ironia. Forse anche da questi rapporti traeva il suo atteggiamento scanzonato nei confronti del potere, dei potenti, degli accademici, degli intellettuali illustri, di chiunque avesse un qualche motivo per darsi delle arie. E il suo non era certo un residuo sessantottino. Irridere al potere è qualcosa che accomunava tutti i suoi interventi sociali e politici, da quando negli anni '50 discuteva di controllo delle nascite e di diritti delle donne con le braccianti di Giugliano (mentre le donne più anziane tenevano gli uomini fuori dalla porta). A quell'epoca Fabrizia era militante del Psi, e anche di recente amava definirsi socialista e anarchica; lo riaffermò non molto tempo fa proprio sul manifesto a proposito dei fatti di Napoli, sottolineando che l'anarchia non è costituita solo di opposizione alla politica dirigistica ma anche e soprattutto di partecipazione. C'era poi un'altra peculiarità di Fabrizia che consisteva nell'andare contro le pratiche correnti, magari anticipando discorsi e forme di intervento che poi sarebbero diventati di moda: il suo stesso impegno con i bambini poveri dei quartieri di Napoli, tra la fine degli anni '50 e la prima metà degli anni '60 esprimeva la sua tendenza a fare politica in un modo diverso; perchéc'era davvero qualcosa di nuovo nell'idea di aprire un asilo per bambini poveri del quartiere San Lorenzo a Palazzo Marigliano a Napoli.

A quei bambini veniva insegnato in primo luogo, alla maniera di don Milani, l'importanza della parola, della scrittura e della cultura. Ma veniva consegnata loro anche una visione del futuro che contemplava sia la possibilità di un miglioramento sia una certa dose di realismo. Se dovessi scegliere un ricordo tra i tanti che ho di lei, me ne viene in mente uno di oltre trent'anni fa che è rimasto sempre nitido nella mia mente: non ha a che fare né con la scrittrice né con la militante, bensì con la persona dotata di una indomita volontà e con la sua incredibile capacità di lavoro, che conciliava così bene alla capacità di essere una madre affettuosa. Eravamo a Castrovillari, me la vedo ancora su un fianco, con in mano una matita per sottolineare il libro di Sebastiano Timpanaro, Sul materialismo storico. La mattina dopo saremmo andati in giro per riunioni, discussioni - e qualche litigio - come sempre.

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