lunedì 21 gennaio 2008

Dal letame possono nascere i fiori ?

Dal letame possono nascere i fiori ?
La crisi dei rifiuti a Napoli come emblema
Giovanni Laino
In Carta Cantieri sociali del 18 Gennaio 2008

A Napoli la raccolta differenziata è al di sotto del 10 per cento. Mentre le campane per il vetro e la plastica sono poche, nei condomini sono stati installati contenitori di plastica bianchi per la carta da riciclare che, una volta alla settimana, viene raccolta con un camion. Anni fa la nostra associazione dei Quartieri spagnoli usò pochissimi soldi del Fondo sociale europeo per fare una campagna nelle scuole del quartiere: Enrico e Diego, due giovani inoccupati passavano nelle scuole, alle cui insegnanti avevamo dato apposite buste ove ogni alunno metteva la carta da riciclo portata da casa e quella prodotta in aula. Le fasi successive erano un poco difficili ma l’operazione ebbe buoni esiti. La mia collega Brigida, simpatica studiosa insorgente quanto garantita, insegna tecniche dell’ascolto e della partecipazione, va a prendere i figli dalla scuola dove le insegnanti progressiste a Natale non hanno costruito il presepio, facendo invece letture di gruppo dei testi di Saramago. Per un paio di mesi, grazie al progetto regionale «Scuole aperte», finanziato dalla Regione con il Fse, Brigida fa ginnastica nelle ore pomeridiane. L’accompagna la sua colf - viene dal Kirghizistan e per ora vuole restare irregolare - che tiene i bambini dall’uscita della scuola sino a quando lei finisce il turno nella palestra nell’istituto.
Il 31 dicembre è stato un giorno per me particolare. Ho accompagnato dal medico Enzo, un parente stretto che abita ad Acerra ed ha problemi ai polmoni. La mattina avevo partecipato al funerale del marito di Concetta, che è rimasta con i figli piccoli da crescere. Fa parte di un gruppo di mamme che hanno serie difficoltà di sopravvivenza a causa del basso reddito e dei carichi familiari. Da nove anni hanno un progetto innovativo: i nidi di mamme. La Regione lo sostiene ancora con appositi finanziamenti, il comune - con molte difficoltà - lo porta avanti, ma il tutto è molto stentato e non si trova la forza per razionalizzare l’esperienza, per estenderlo come pratica effettivamente efficace di connessione fra una politica di inserimento al lavoro e un servizio di prossimità, di cui vi è molto bisogno in città. Franco invece ora è nell’occhio del ciclone; dipende da un consorzio di bacino che paga suoi dipendenti che, per diversi motivi, non riescono ad essere lavoratori. Hanno il posto ma non faticano, e forse, almeno alcuni, non ne hanno nemmeno tanta voglia. Concetta e Franco sono due casi di possibili politiche del lavoro e politiche dei beni comuni che rivelano come si possano produrre buone pratiche oppure esperienze indagate dalla Procura della repubblica.
Alex è un ottimo conoscitore del pensiero di Habermas e fa l’imprenditore nel mondo della consulenza ambientale. Quando, anni fa, ho iniziato ad occuparmi della crisi dei rifiuti, intendendola come un problema di efficacia della pianificazione, sono andato al suo studio per intervistarlo. Frequentava l’ambiente ed era bene informato. Lavorava fra l’altro al progetto «Sirenetta», poi tanto contestato anche negli atti della Commissione parlamentare di inchiesta. Ho trovato che lo studio professionale di Alex era diventato momentaneamente comitato elettorale dell’onorevole Pecoraro Scanio: non ho fatto cattivi pensieri, anzi ho cercato di averne dei benefici: «Mi fate avere una copia del piano dei rifiuti?». Uno dei giovani collaboratori dell’onorevole, successivamente diventato assessore, mi rassicurò, ma poi non mantenne la promessa.
Pasquale è un economista bravo e creativo che fu chiamato da Bassolino a fare l’assessore all’ambiente nella prima giunta regionale. Una delega che aveva anche la disponibilità di cospicue risorse, ma Pasquale non ha avuto neanche il tempo di far fare le targhe fuori dalle porte. Con una crisi di giunta, l’Udeur ottenne quel posto che, da allora, pur con l’avvicendamento di quattro assessori, non ha mai mollato.
Come l’analisi del contenuto dei rifiuti parla dei nostri consumi, suggerisce informazioni sugli stili di vita, questa vicenda è metafora delle condizioni di Napoli in questi anni. La questione dei rifiuti tossici forse è la più grave, troppo mescolata ma in realtà distinta da quella dei rifiuti urbani. Per lo smaltimento degli Rsu [rifiuti solidi urbani] l’emergenza è stata prodotta da una serie di cause e si è evoluta nel tempo. Nell’elenco dei responsabili Bassolino forse è il primo, ma non è solo: altri capi partito, commissari, alti funzionari ministeriali, esponenti di rilievo della politica e dell’amministrazione hanno rilevanti responsabilità. A Napoli si è realizzata prima che altrove l’alleanza di un arco di forze politiche – da Rifondazione all’Udeur - che è poi diventata una camicia di forza, sempre più confusa con un sistema di clan che operano come macchine elettorali di manutenzione del consenso, distribuendo risorse e opportunità di lavoro. Innanzitutto i dirigenti delle organizzazioni politiche ma anche tante componenti sociali che in questi quattordici anni hanno condiviso responsabilità del governo locale, hanno dilapidato un patrimonio di fiducia e di tensione verso il bene comune che a metà degli anni novanta pure si era creato. Questa è la città dove le organizzazioni del terzo settore, che pure vivono limiti e contraddizioni, hanno dovuto fare manifestazioni con blocchi stradali per ottenere parte degli arretrati nei pagamenti dal comune, e con la Asl e la Regione le cose non vanno meglio.
Dio ci liberi dal qualunquismo. Esistono chiare gerarchie nelle responsabilità, ma in verità, stando dentro la società, è poi difficile fare differenze nette. Certo anche solo il numero di consigli comunali sciolti per infiltrazioni criminali è un indicatore di una situazione da discarica civile nella provincia di Napoli. Ma neanche il catastrofismo o il pensiero radicale di chi si consola pensando di essere parte di un popolo salvifico che può contrapporsi ad un chiaro blocco di potere oggi sono soddisfacenti. Questa è una città profondamente attuale perché fortemente ambigua fin quasi nelle sue molecole costitutive. Le perle, certo un po’ nascoste, convivono con le mediocrità di molti e l’opportunismo cinico di ampie componenti delle élites [che restano sempre principali responsabili] come del popolo.
La crisi dei rifiuti mette in evidenza un limite nelle culture critiche: la convinzione secondo cui fermezza, credibilità, incisività delle lotte si esprimono con l’opposizione netta, spesso a prescindere dal reale approfondimento dei contenuti di questioni che invece presentano margini di incertezza e vanno valutate in modo critico e disincantato. La necessità di fare valutazioni complicate, di documentarsi andando magari oltre quello che qualcuno scrive sul giornale di tendenza e soprattutto l’onere di fare i conti con la fattibilità e l’efficacia di quello che realmente si propone, viene considerata una disdicevole disponibilità al compromesso. Napoli è la città ove per venti anni generazioni di militanti si sono opposti alla realizzazione della tangenziale prima e del centro direzionale dopo. Cose certo discutibili per diversi aspetti, ma indicative di vicende che inducono a constatare come la scelta di esprimere una forte opposizione «senza se e senza ma» risulta inconcludente, ostacola le possibilità di imporre una discussione su come si devono realizzare le cose.
Non intendo confondere diversi generi di errori, la colpevole gestione del potere con la superficialità di certe posizioni. Nella vicenda dei rifiuti però hanno qualche responsabilità anche i presunti esperti o politici che hanno convinto militanti infervorati che «l’unico sito alternativo a Pianura è la raccolta differenziata». Almeno nei prossimi anni a Napoli non vi può essere contrapposizione fra raccolta differenziata, discariche correttamente localizzate e ben gestite, realizzazione di buoni inceneritori, stili di vita meno inquinanti. La vicenda ha grande valore simbolico perché esprime un groviglio di questioni molto attuali: quella ad esempio della crisi di fiducia fra saperi degli esperti e responsabilità dei decisori, quella dell’attendibilità delle comunicazioni e degli impegni delle istituzioni verso i cittadini comuni o ancor più la straordinaria assenza di cura con cui si fanno le cose. Come altrove, la vicenda segnala che l’auspicio di forme reali di democrazia deliberativa non è affatto alternativo a pratiche serie di democrazia delle decisioni. Riflettendo su queste vicende, si tocca con mano quanto la nostra cultura sia impermeabile al pragmatismo e così facendo finisce per essere subalterna ai poteri forti e a certi capi politici [sedicenti] progressisti, che praticano un regime di doppie e triple verità, intendendo la cura del consenso in termini opportunistici, familistici e clientelari.

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