venerdì 19 dicembre 2008

Un Cantiere sul Lavoro


Da una cosa scritta per "Segnali di fumo" e inviata ad amici, mi sono arrivate risposte e ... rimproveri: da quanto è che diciamo di voler fare un cantiere sul lavoro? Non saprei come altrimenti rispondere se non iniziando a pubblicare qui il testo nella sua versione originaria con il commento di Giustina che ringrazio di cuore e, linkare qui il pezzo di Enrica Morlicchio sulla povertà, sempre per segnali di fumo, sperando che il tutto segni un buon punto di partenza. Approfitto anche per iniziare a proporre un Arcipelago più orientato alle riflessioni e ai ponti idee/dibattito/testimonianze e meno sommerso dalle notizie e "partecipazioni": con l'aiuto prezioso di Retecivica e la prossima uscita di napolisegnalidifumo.it i ponti per la rete non mancano e il punto forse è metterci tutti un po' più di nostro.

Il mio segnale di fumo per il lavoro

Le politiche del lavoro realizzate in Italia e in Campania negli ultimi anni sono accreditate come politiche coerenti con la strategia europea per l’occupazione. Possiamo essere critici rispetto a tale strategia, apocalittici verso le misure di flessibilità e convinti nel denunciare l’indebolimento delle tutele e dei diritti che proteggono il lavoro; ma risulterebbe alquanto difficile anche ad una critica radicale sostenere che la disoccupazione e le pessime performance del mercato del lavoro nel Mezzogiorno e a Napoli siano legate essenzialmente ai limiti e alle debolezze di tali indirizzi strategici. Continua...
sv

1 commento:

  1. Ieri in treno avevo cominciato a risponderti, poi oggi il terremoto sul comune di Napoli, anche se annunciato da un po’ di tempo, mi spinge a ripensare anche se solo in parte a quello che volevo dire.
    Quello che è accaduto ieri, ma che in realtà sta attraversando la nostra città da un po’, non solo ci tocca nel profondo anche se non ne siamo coinvolti, ma ci chiama ad esprimerci anche proprio su quelle questioni di cui ci occupiamo. La corruttela, lo scambio clientelare, la politica che dipende ed è diretta dall’imprenditore, sono tutte questioni che ruotano intorno al lavoro. C’entrano in maniera maledettamente diretta con le questioni su cui ti interrogavi. Dalle cose che si leggono sui giornali emerge che spesso quello che politici e imprenditori si scambiavano non erano infatti solo mazzette e pagamenti diretti, ma erano più spesso coinvolgimento di altre imprese in subappalto, collocazione lavorativa di parenti, amici e conoscenti, giovani e meno giovani. Insomma il lavoro, quella permanente emergenza che, come dici, non siamo riusciti a fare diventare altro che bisogno insoddisfatto che rende i soggetti deboli, ricattabili, merce necessaria come bacino di voti e di consenso, elementi essenziali per attrarre in città flussi di finanziamenti pubblici, ma che non modificano di tanto la loro condizione di soggetti subalterni, senza identità, senza diritti e li lascia uguali a prima, i nessuno di prima. E adesso? La debolezza di un ceto politico che non ci rappresenta più, l’assenza di regole, lo sprezzo delle più elementari forme di equità, trasparenza e correttezza delineano abissi dai quali non si capisce come fare a riemergere. Da cui io non so come pensare di uscire. Perché - e questo è quello che non mi fa partecipare e aderire più direttamente alle cose che state facendo e che pure condivido – io sento di non essere ancora capace di rinunciare ad una vecchia idea in base alla quale è la società e in questo caso noi intellettuali, università ma anche terzo settore e soggetti sociali che analizziamo, elaboriamo proposte, avanziamo ipotesi anche alternative e la politica interviene, attua, indirizza in una direzione che naturalmente è il più possibile equa e trasparente e che si pone davvero il bene pubblico come fine ultimo. Io, insomma non riesco a pensarmi sostitutiva e non riesco a non pensare che è la politica che deve essere ristrutturata e cambiata e che dovrebbe esprime altro da quello che ha fatto finora. E però non so dove sono le mie risorse, le mie possibilità di intervento in questo momento. Lo so che tutto questo non esiste e forse non è mai esistito, ma io ho creduto che nel fare onestamente il mio dovere e il mio lavoro ci fosse la mia parte di intervento nella politica della città e invece oggi mi accorgo che non è vero. O almeno capisco che non è stato vero e sufficiente e incisivo e che non può più essere così. La debolezza di ‘storia civile e democratica che abbiamo alle spalle’ che tu fra le altre cose richiami, mi colpisce direttamente ed è forse la prima leva da cui partire. Invertire questa storia forse vuol dire fare quello che tu definisci “un’alleanza della cittadinanza responsabile per fare massa critica che sostenga la politica” e però come si fa? Mi manca un alfabeto per muovermi in questo senso, per tradurre le mie azioni in quest’arena. O forse è solo che ho paura di nuove sconfitte e di illudermi di poter fare. Certo, forse partire dalla denuncia può essere oggi per me il primo e più possibile dei gesti, primo necessario passo verso una speranza. E per me la denuncia è quella di quanto sia diventato più grave vivere qui senza lavoro o il racconto dettagliato e le riflessioni che possono scaturire da quello che abbiamo scoperto e continuiamo a scoprire a Scampia, che devono necessariamente tradursi in tempi rapidi, in basi per proposte concrete di politiche di interventi e anche in questo caso ti sono grata della sollecitazione che più volte ci hai fatto in questo senso e della tenacia che metti nello spingerci ad una presa più decisa di posizione in una direzione più operativa, richiesta a cui ci sottraiamo solo per paura di non avere gli stessi tuoi strumenti, la stessa tua lucidità e immaginazione, per poterlo fare.
    Questo è quello che mi sento in questo momento più in grado di fare: mettere a disposizione il mio sapere e le mie conoscenze acquisite insieme ad un gruppo di validissimi (e valorosissimi) giovani ricercatori e che forse può servire a tutti noi, come piccolo tassello di conoscenza e di sapere che è bene dare anche ad altri, una conoscenza basata non sul sentito dire ma su dati di fatto di una realtà come Scampia che mi pare esemplificativa di dove la conduzione scellerata del mercato del lavoro e della politica di esso può portare. Altro, all’analisi lucida e alle proposte di indirizzo che fai, non so aggiungere. Tu però continua ad immaginare questi percorsi e a sollecitarci con le tue riflessioni, ché io con tutte le mie difficoltà e perplessità ne ho bisogno. Senza smettere di andare, nonostante i venti che ci sferzano contro.
    Giustina Orientale Caputo

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