lunedì 7 aprile 2008

Il Cantiere dell’altra politica: 5 aprile, le conclusioni


di Andrea Morniroli

L’incontro di sabato è stato un momento utile e produttivo. Non solo per la ricchezza dei contenuti e per la qualità della partecipazione, ma anche perché, attraverso il confronto, ci ha permesso di condividere la necessità di immaginare un percorso per la costruzione di una Cantiere permanente dell’altra politica.
Un percorso che già nel dibattito di sabato ha iniziato a delinearsi, ad individuare alcune finalità, in primis ribadendo con chiarezza quello che occorre evitare di fare, e cioè, avere la presunzione di proporsi come la rete delle reti, o lasciarsi tentare dall’idea di sentirsi “il nuovo luogo della rappresentanza sociale”.
Il tentativo, invece, e la finalità, deve essere aprire e consolidare uno spazio pubblico e partecipato, che, proprio in quanto pubblico sia accessibile, trasparente, aperto e accogliente. Che sia fondato su un sistema di relazioni leggere, flessibili, capaci di aggiornarsi in sintonia con le dinamiche sociali, le istanze dei movimenti, l’esprimersi delle conflittualità. Continua...

notizie sull'incontro del 5 anche qui, da Carta.

la foto è tratta dal sito di Esterni

2 commenti:

  1. Ho dato uno sguardo al resoconto della serata degli indecisi. Mi è venuto di pensare addà passà a nuttata, come diceva Eduardo. La nottata è la campagna elettorale. Se non termina è difficile sentire (e fare) ragionamenti pacati e sensati.
    Il 15, senza dar soverchio peso ai risultati elettorali, bisogna rimboccarsi le maniche e ricominciare da capo. Ricominciare a costruire dal basso e dalla società una sinistra che abbia senso, cioè sia radicata nei territori e ne affronti i problemi nella consapevolezza che siamo in una crisi di sistema: crisi della rappresentanza, crisi delle democrazia, crisi della forma partito, crisi delle identità crisi della solidarietà e tante crisi ancora. Anche crisi (incipiente) della globalizzazione, intesa come fase parossistica della modernità e accelerazione violenta dell’accumulazione del capitale secondo modalità prima d’ora sconosciute.
    Bisognerà ricominciare dalla società, senza aspettare un minuto di più, come suona l’appello dell’Associazione per la sinistra unita e plurale di Firenze, apparso su il manifesto di domenica 6 nella stessa pagina in cui si dava notizia del Cantiere dell’altra politica svoltosi a Roma nella redazione di Carta e promossa da Cantieri Sociali.
    Domando a me e a tutte/i le/i altri/e indecisi: per ricominciare da capo, può essere utile che un lucignolo di sinistra politica, anche se fumigante, resti in vita oppur no? Potrebbe darsi di sì, perché a livello delle istituzioni locali può darsi che si riescano a trovare degli interlocutori con cui discutere, che possano a volte fare da sponda alle iniziative della società civile e captarne le spinte.
    Io voto a Roma. Comincio a pensare che voterò l’arcobaleno per i motivi che ho detto
    Nino Lisi

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  2. Comincio dalla fine dell’intervento di Andrea Morniroli (“conclusioni 5 aprile”). Comincio dal bisogno.

    “La giornata di sabato ha segnato un punto. Ha confermato che la proposta lanciata da Carta e da Cantieri sociali incontra, se pur con livelli diversi, un bisogno diffuso. Possiamo dire che il confronto di sabato l’ha resa più collettiva e partecipata. Si tratta ora, insieme, di farla marciare.”

    Non so se c’è davvero un bisogno diffuso (lo spero), so che c’è il mio, sempre più impellente. Il bisogno di passare dalla fase di resistenza alla fase dell’offensiva (Marco Bersani), condividendo profondamente l’analisi di Marco Revelli sulla deriva “dispotica, oligarchica e massmediatica della nostra democrazia” e sulla “voragine” che può aprirsi dopo il 14 aprile.

    Per me, delegato sindacale metalmeccanico, “in resistenza” da almeno dieci anni, in una azienda informatica in continua ristrutturazione, la resistenza “a oltranza” è letteralmente impossibile. E non mi aspetto soccorso dalla politica istituzionale, tanto meno vista la deriva verso il bi-partito unico, né dal sindacato istituzionale che ha fretta, salvo lodevoli eccezioni, di farsi risucchiare in questo processo (credo che una riproposizione in rete dell’intervento di Dino Greco sarebbe utile a molti).

    Per quanto riguarda l’altra politica sono convinto che non solo le analisi ma anche le suggestioni, non solo le teorie ma anche le pratiche, abbiano ormai la forza – o almeno la potenzialità – di una proposta generale.

    Una proposta che sappia indicare altri modelli di vita e di relazione, fondati su altri sistemi di produzione – coscienti che qui l’analisi è ancora carente – e di consumo.

    Una proposta che non resti nel chiuso delle stanze – non ho bisogno di un circolo culturale, voi sì? – ma che sappia parlare alla società, anche alla “pancia” della società, quella più precaria, frammentata e impaurita.

    In questo le lotte delle comunità locali sono il migliore esempio. Anzi i migliori esempi, perché ce ne sono tante e ognuna con la sua storia. Dalla Val di Susa a Vicenza, dalla Toscana alle Marche, da Aprilia e Civitavecchia a Scanzano fino alle terre riconquistate alla mafia in Sicilia.

    Esempi che ci insegnano che si può partire dal NO per immaginare, pensare, progettare proposte alternative, che si può lottare, perfino a livello locale, contro processi globali e che – fatta l’analisi e stabilito l’obiettivo – il resto, o comunque gran parte del resto, lo fanno le relazioni tra le persone, tra le intelligenze e i sentimenti delle persone.

    In questi anni io sono riuscito a resistere anche perché mi sono sentito implicitamente parte di un movimento di cui facevano anche parte tutte queste lotte, tutte queste comunità, come pure gli operai di Melfi e gli zapatisti del Chiapas, le lotte per l’acqua pubblica e quelle per la casa.

    Vorrei, anzi ne ho bisogno, che l’implicito diventi sempre più esplicito. E credo che il Cantiere dell’altra politica possa servire e possa funzionare, andando oltre un ruolo di semplice contenitore e luogo di scambio di esperienze diverse.

    Tornando alle conclusioni di Andrea vorrei che lo spazio pubblico e partecipato del Cantiere si fondasse su relazioni sì leggere e flessibili (non deve essere una gabbia) ma forti nel sentimento e nell’impegno comune (conoscete imprese collettive, piccole o grandi che siano, realizzate senza affidarsi a legami di amicizia?).

    Per finire una riflessione sui tempi. Perché è vero, come ha detto Sergio Sinigaglia, che non si possono forzare i tempi delle dinamiche sociali ma, se condividiamo l’analisi di Revelli, un po’ di impellenza c’é. E allora, senza esasperazioni, diamoci da fare.

    Marco Onorati

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