Negli ultimi 35 anni tre date hanno segnato in modo significativo il martoriato territorio campano e la sua maltrattata popolazione: 1973, 1980, 2008.
La prima ricorda l’ultima epidemia di colera dopo le tante del secolo precedente; la seconda il terremoto; la terza l’esplosione del problema rifiuti. Sono tre veri e propri drammi che hanno anche immediatamente alimentato la ricerca dei colpevoli, degli untori, individuandoli nelle cozze per il colera, nella “natura matrigna” per il terremoto, nella camorra per i rifiuti. In realtà, è una sola la causa delle tre tragedie, il filo che le lega tutte: la gestione speculativa del territorio. Cioè di un bene comune la cui continua privatizzazione o appropriazione indebita ne ha progressivamente espropriato i legittimi proprietari.
Le cozze, l’abitudine di mangiarle crude insieme con altri frutti di mare, non avevano alcuna responsabilità nella nascita e diffusione dell’epidemia di colera. Questi preziosi molluschi filtrano l’acqua di mare. Se, nel farlo, vi trovano porcherie che nulla hanno a che fare col mare, le trattengono e le trasferiscono a chi le mangia senza cuocerle. E ne trovarono porcherie nel 1973 perché una enorme quantità di abitazioni, uffici, alberghi, (persino un ospedale), scaricavano abusivamente in mare i rifiuti organici dei loro residenti.
La natura non aveva alcuna responsabilità nei tremila morti del terremoto che devastò Irpinia e Potentino. Si usa dire che “non uccide il terremoto, ma la casa che crolla”. Se le case costruite in zone notoriamente sismiche erano state realizzate in cemento malamente armato per lucrare sui bassi costi ottenuti, quelle case non potevano restare in piedi.
La camorra ne ha responsabilità: in tutti i mali lamentati sul territorio. Ma la camorra che è un rifiuto della società, non produce rifiuti, li smaltisce. Più ne smaltisce e in modo più disinvolto (e quindi economico) lo fa, più lucra. Lo ha fatto prima sotterrando rifiuti speciali, tossici e nocivi, industriali, provenienti da ogni parte d’Italia nelle discariche abusive della ospitale Campania; continua a farlo trasportando, dove che sia e per qualunque destinazione e modalità di smaltimento, rifiuti solidi urbani. Quali sono le sue responsabilità se qualcuno le ha affidato il servizio? E se alcune discariche e siti di stoccaggio sono di sua proprietà e lucra milioni di euro affittandone l’uso, qualcuno glieli avrà pure ceduti quei territori.
Quella che emerge con ancor maggiore rilievo in seguito ai problemi di questo inizio d’anno, alle manifestazioni di piazza, alla loro “esportazione” in Sardegna; quella, dicevo, è una presa d’atto dolorosa quanto realistica: il territorio campano appartiene sempre meno ai suoi naturali proprietari; ai cittadini, cioè, che dovrebbero farne buon uso tramite i loro amministratori. Al contrario non c’è stata quasi, e non c’è quasi, alcuna grande iniziativa sul territorio che non comporti una “trattativa”–reale o virtuale–con la malavita.
Comunque, qualunque iniziativa, specialmente le grandi opere, finisce sempre con l’arricchire in modo spropositato i proprietari dei suoli sui quali si vanno a realizzare. Proprietari che sono anche in grado di “orientarle” queste scelte indirizzandole verso uno piuttosto che altro sito.
C’è una sola possibilità di rientrare in possesso del bene territorio e dei suoi appetiti suoli ed è quella di sequestrarli ed espropriarli via via che i loro malavitosi proprietari vengono arrestati e messi in galera. Una strada lunga; è stata già in qualche caso praticata, ma va perseguita con rinnovata lena se si vuole riappropriarsi del mal tolto, restituirlo ai cittadini e gestirlo nel loro interesse.
Ugo Leone
giovedì 17 gennaio 2008
Natura Matrigna
Etichette:
cittadinanza sociale,
spazio pubblico
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